mercoledì 8 novembre 2017

IL LIBRO DEI SEGNI





ESERCIZI SPIRITUALI PRESBITERI DIOCESI DI REGGIO EMILIA-GUASTALLA
MAROLA 6-10 NOVEMBRE 2017
MONS. LUCIANO MONARI

Sintesi: Paolo Cugini

III MEDITAZIONE

Charles Harold Dodd chiama la prima parte di Gv come libro dei segni. Siccome sono segni rivelano l’identità di Gesù e il mistero inconoscibile del Padre. Per questo sono dei segni, e per comprenderli occorre essere attenti a Lui che compie queste opere e riconoscere che queste vengono dal Padre che lo ha mandato.

Al cap. 4 c’è il secondo segno, la guarigione del figlio di un funzionario. Per due volte c’è il riferimento alla morte. All’espressione di pericolo viene contrapposta la Parola di Gesù: va, tuo figlio vive. Gv vuole sottolineare la forza della Parola di Gesù capace di trasmettere la vita. Alla Parola occorre rispondere con la fede.

Nel cap 5 c’è il caso di una malattia cronica. Un paralitico bloccato da 38 anni. E’ significativo il dialogo tra Gesù e il malato. Gesù chiede: vuoi guarire? E’ una domanda fondamentale. Potrebbe sembrare una domanda superflua. Non è detto però che un malato voglia guarire. La malattia può diventare una condizione di rassegnazione. Dopo 38 anni di malattia è difficile sperare un cambiamento. La malattia ha anche un significato di rifugio dalla responsabilità. L’uomo può cercare nella malattia una protezione. Il rifugio nella malattia è una risposta negativa, ma reale nell’uomo. Desiderio di pienezza della vita. Siccome la vita spirituale è un cammino di conversione continuo, il bisogno di rinnovamento sono permanenti. La conversione è una crescita, il passaggio da una condizione di debolezza a una di forza. Però la conversione è faticosa e costa, perché vuole dire rinunciare, per cui può venire la tentazione di dire: convertimi, ma non adesso (cfr. Sant’Agostino). E’ il presente la condizione di conversione. Il passaggio di Gesù è quella possibilità che viene offerta e che non deve passare; è il Kairòs. Il passaggio di Gesù è un kairòs, se lo lasci passare non lo puoi più afferrare. Ecco che la domanda di Gesù vuole suscitare il desiderio di guarire. Il segno, l’azione di Gesù è accompagnata da un discorso che lo interpreta. Il discorso è che Gesù compie la guarigione in giorno di sabato e che spiega il perché di questa guarigione con un’affermazione azzardata: il Padre mio opera sempre e anch’io opero. Gesù pretende di poter operare nel modo in cui il Padre opera. Siamo dinanzi ad un mistero. Gesù spiega il perché di questo suo comportamento attraverso due affermazioni. La prima: sottomissione assoluta al Padre. Gesù non può fare nulla se non quello che vede fare dal Padre. Le opere che Gesù compie non vengono da Lui. Proprio perché da sé non può fare nulla, può fare tutto in virtù del suo rapporto con il Padre. Il Padre gli fa vedere tutto. Non c’è nulla che Gesù non possa fare. Gesù dà la vita a chi vuole. Proprio la sottomissione radicale al Padre, rende Gesù potente, della potenza che viene dal Padre. Il padre che è in me compie le sue opere. Questa dimensione in Gv è fondamentale. I segni di Gesù possono essere compresi come opere del Padre. Per questo Gesù può dire che le sue opere gli danno testimonianza. Nelle sue opere c’è la testimonianza del Padre stesso.

Al capitolo 6 c’è il quarto segno: la moltiplicazione del pane. C’è la condizione della fame come bisogno fondamentale dell’uomo. C’è un luogo sulla terra dove c’è una ricchezza di vita tale da poter trovare il pane per una grande folla. Questo luogo è Gesù Cristo. Mettendo insieme tutto quello che l’uomo ha, troviamo cinque pani e due pesci. Questa cosa piccola, messa nelle mani di Gesù diventa una grande cosa che abbonda. E’ certamente un segno che anticipa l’Eucarestia. Anche questo segno dev’essere interpretato e capito. Occorre passare dal dono al donatore. Gv 6,26: mi cercate perché vi siete saziati. Cercate il cibo che dura per la vita eterna. Se ti fermi al pane puoi godere di un dono, ma è provvisorio. Il pane ti sfama per qualche ora e poi devi mangiarne dell’altro. Ciò di cui l’uomo ha bisogno è un cibo che duri per la vita eterna e che risponda al desiderio di vita dell’uomo. Il figlio dell’uomo è in grado di donare un pane che dura per la vita eterna. E’ capace di fare questo è perché il Padre ha messo il suo sigillo. Non ci si può fermare alla soddisfazione della fame. Gesù è Lui il pane della vita che può dare la vita eterna. “Io sono il pane della vita”. Quel pane che Gesù dona e trasmette la vita all’uomo è Lui, il suo amore, la sua amicizia. Lui è il pane della vita. Si tratta allora, di andare a Gesù, percorrere un cammino che è il cammino della fede. Non è possibile andare a Gesù se non si è attirati dal Padre. Non è possibile venire a Gesù se non attratti dal Padre. Dal punto di vista dell’esperienza dal momento in cui la persona viene in contatto con Gesù attraverso la sua Parola, in quella Parola c’è il Padre che attira. I segni sono opere che il Padre realizza attraverso Gesù. Nel segno c’è il Padre che opera. Se Gesù è il pane della vita è perché Gesù ha fatto della sua vita un dono, è perché Gesù ha offerto la sua vita. La Parola che Gesù ha detto è la Parola che ha compiuto sulla croce.
 Mangiare e bere il sangue di Gesù: è un riferimento all’Eucarestia. All’origine c’è il dono reale di Gesù, il fatto che Gesù non ha vissuto per sé ma per Dio. Nell’amore umano di Gesù si vede l’amore del Padre he si rivela.

Cap 9: Guarigione di un ceco nato. I capitoli 7 e 8 preparano la guarigione del cieco nato. Descrivono la presenza di Gesù alla festa delle capanne. Israele ha mantenuto nel suo codice genetico una dimensione di nomadismo legata all’esperienza del deserto. Nel contesto della festa delle capanne ci sono due temi: l’acqua, simbolo della vita. E poi c’è il tema della luce; nel suo cammino Israele è stato condotto dalla luce di Dio nella notte del deserto. Questi due temi diventano i temi della rivelazione. Nell’ultimo giorno della festa Gesù Grida: chi ha sete venga a me; fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno. E’ Gesù la sorgente di acqua viva. Venga a me e beva chi crede in me. Gv 8,12: io sono la luce del mondo; chi segue me avrà la luce della vita. Il simbolismo è chiaro, la luce che permette di discernere il cammino che va verso Dio. L’esperienza del buio è preoccupante per l’uomo, perché non sa dov’è. Nelle tenebre non è possibile di orientarsi. La luce permette di muoversi e quindi di vivere. La Parola di Dio per questo è la luce. Quello che per Israele era la legge, quello è Gesù, perché è la Parola che si è fatta carne. Quell’esistenza concreta che è Gesù è luce nel discernimento del bene. Proprio per questo la luce diventa un simbolo della vita realizzata. Che la vita dell’uomo si muova nella dinamica del conflitto tra luce e tenebra, fa parte della nostra esperienza. La vita ha una dimensione di conflitto. Tra Gesù e il mondo c’è un contrasto radicale. Gesù condanna il mondo. E’ il confronto tra il mondo e la rivelazione di Dio che è Gesù. E’ il confronto tra la luce e le tenebre. Anche la dottrina di Gesù viene dal Padre. Chi è docile a io riconosce questo fatto. Gv: la credibilità delle parole di Gesù si riconosce attraverso la propria docilità a Dio. Quando uno vuole solo la volontà di Dio, allora il suo cuore riconosce che la dottrina di Gesù viene davvero da Dio. L’atto di fede diventa una scelta dell’uomo, quando l’uomo pone la volontà di Dio al di sopra di ogni altro interesse. Allora percepisce che Dio lo aiuta a fare la volontà del Padre. Ci sono due domande che vengono ripetute nei capitoli 7 e 8: da dove viene e dove va Gesù? I giudei dicono che viene da Nazareth. In realtà l’origine di Gesù è più profonda. Dove va Gesù? Immaginano che vada dai pagani. In realtà va verso il Padre. Quando Gesù dona la vista al cieco nato, gliela dona materialmente e spiritualmente. Quando riconosce in Gesù la volontà di Dio: in questo modo ha la vista.
Giovanni 11. Resurrezione di Lazzaro. Gv sottolinea l’amore di Gesù per Lazzaro. Quella resurrezione ha il suo fondamento in questa amicizia. Alla radice dell’azione c’è la manifestazione di un legame di amore, che è rivelazione dell’amore di Dio nei confronti del mondo. Questa risurrezione è rischiosa. Quando Gesù decide di tornare a Betania, i discepoli lo avvisano che è rischioso. La giudea è un territorio pericoloso per Gesù. Però la decisione per Gesù è ferma e consapevole. Alla fine del capitolo 11 si dice che la resurrezione di Lazzaro è la scintilla che muove il sinedrio a decidere di fare fuori Gesù. La morte di Gesù trasmette la vita al mondo. Gesù dona la sua vita. “Io sono la risurrezione e la vita”. La resurrezione di Lazzaro allude alla Risurrezione di Gesù. Gv 10: Gesù è il buon pastore che dona la vita per le pecore. Non solo si preoccupa del loro benessere, ma dona la sua vita per loro. Qui i segni sono portati a compimento. Gesù è la vita autentica nella pienezza.
 Ripercorrendo il Vangelo si trova quella formula: Io sono. Per sette volte si trova questa formula: luce, vita, resurrezione, la via, il buon pastore, la vita vera, porta. Quello che risponde al bisogno di vita che l’uomo si porta dentro il cuore e al quale cerca di soddisfare in tanti modi, ebbene il pane della vita è Gesù. In tutto quello che fa l’uomo cerca la vita. Anche nel degrado morale, in qualche modo l’uomo cerca la vita in modo sbagliato. Gesù è colui che realizza pienamente questo desiderio. Occorre prenderne coscienza per diventare liberi rispetto agli altri desideri. Ciò ci permette d’interpretare i comportamenti più degradati dentro una prospettiva di fede e disperanza. C’è sempre nel cuore dell’uomo la fame e sete di Vita. L’uomo può ingannarsi sul dove si trova la vita. Il genio pastorale è quello di farlo emergere, è fare vedere che c’è. Questo è possibile quando noi stessi troviamo nel Signore la pienezza della nostra vita.


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