sabato 27 giugno 2015

ED EGLI STAVA LUNGO IL MARE




DOMENICA XIII/B

Paolo Cugini

E’ molto interessante capire e scoprire gli spazi che Gesù sceglieva per evangelizzare, per presentare la sua proposta. Siamo così abituati ad identificare l’evangelizzazione con gli spazi chiusi dei perimetri parrocchiali, con le chiese, gli oratori, i saloni parrocchiali, che probabilmente anche se ascoltiamo ci sfuggono dei particolari del Vangelo che sono fondamentali. Un esempio è il vangelo di oggi, che già di per sé è ricchissimo di eventi e situazioni, ma che part da un’indicazione estremamente significativa sul modo d’intendere l’evangelizzazione. Gesù infatti, dice il testo che stava lungo il mare, vale a dire che evangelizzava sulla spiaggia. E’ Lui il tempio, il luogo sacro e la gente va a Lui. Sarebbe interessante spingere una riflessione su questo punto e recuperare un po’ di libertà pastorale, troppo spesso relegata negli angusti spazi parrocchiali. Se Gesù è il modello dell’evangelizzazione, allora il suo modo di fare ci spinge a cambiare impostazioni, ad avere il coraggio di guardare il mondo in un modo diverso, in una prospettiva diversa. Pensare la pastorale a partire dalla strada, dalle spiagge del mondo permette senza dubbio un progettualità diversa da quella che esce dalle sale anguste dei nostri oratori e dalle nostre stanze parrocchiali. Gesù c’invita ad aprire i nostri cammini di evangelizzazione.

Vieni a imporle le mani… E da dietro toccò il suo mantello”. Toccare Gesù per essere salvi: è questo che il Vangelo di Marco ci dice con le due storie di oggi intrecciate tra loro. Perché è così importante il toccare per essere guariti, per essere salvi? Toccare significa fare riferimento a qualcosa di reale, di oggettivo. Fino a quando Dio permane nella dimensione trascendente e spirituale può essere confuso con la fantasia, con una proiezione della coscienza. La salvezza passa attraverso quello spazio di umanità che Gesù ha delimitato incarnandosi e che nell’oggi della nostra salvezza incontriamo nel Vangelo. E’ di fatti nel Vangelo che incontriamo le modalità dell’incontro con Lui, i modelli delle sue manifestazioni nella storia. Oltre a ciò è nella chiesa, corpo di Cristo che incontriamo l’umanità del Signore risorto. Per questo diviene molto importante come viviamo il Vangelo, perché ne va della visibilità di Dio nel mondo, della possibilità degli uomini e delle donne d’ incontrare il Signore e di accogliere la sua vita toccando la sua umanità.

Tu vedi la folla che ti stringe attorno e dici: chi ti ha toccato?”. E’ questo un punto molto importante e delicato. Infatti, non basta toccare il Signore, la sua umanità per come oggi si manifesta nella chiesa, nei sacramenti, nei poveri, e in altre forme: dipende da come lo tocchiamo e perché. Quanta gente tutte le domeniche va a messa, ascolta la Parola di Dio, tocca il corpo di Cristo e n on cambia di una virgola la propria vita, il proprio modo di pensare! A che cosa serve una religione che non ti cambia il cuore, la mente, la vita? Il Signore cambia la vita delle persone che lo cercano e lo toccano con cuore sincero, che hanno voglia di vederlo, che desiderano essere creature nuove. C’è tantissima gente attorno a Gesù nel Vangelo di oggi, ma solo una donna ammalata viene guarita: perché? Perché questa donna ha cercato Gesù perché voleva guarire, ha toccato il mantello di Gesù pensando che solo questo piccolo gesto avrebbe potuto guarirla. Era così grande la fiducia nel potere taumaturgico di Gesù, che le bastava toccare questo semplice lembo di mantello, per di più da dietro, senza vedere Gesù in faccia. Questa è la fede che provoca i cambiamenti: il desiderio di guarire, il desiderio di conoscere il Signore. E’ così grande la fede di questa donna che gli basta pochissimo! Non è una ritualità meccanica che ci salva, un’appartenenza alla chiesa delle cose da fare, delle attività da organizzare: è ben altro. E’ il desiderio di conoscere il Signore che ci salva da una vita piena di cose, ma vuota di senso, una vita piena di attività religiose, ma senza fede.


La bambina non è morta, ma dorme”. Essere cristiani significa imparare a vedere le cose come le vede Gesù. Dove noi umanamente vediamo morte, Gesù vede vita. Gesù è la fonte della vita. Pensare come Lui, vedere quello che Lui vede nella realtà: è questo il senso di un cammino spirituale. Seguire il Signore significa uscire dalle nostre ottusità, dalle nostre cecità che provengono da un’incapacità di cambiare, dal voler riprodurre sempre gli stessi schemi, allo stesso modo. Finché rimaniamo dentro le nostre visioni, dentro i nostri schemi non saremo capaci di vedere in modo diverso, di riprodurre nella storia, nelle nostre relazioni lo stile di Gesù, il suo pensiero, le sue attitudini. Gesù entra nella storia e spezza le catena, fa saltare la pietra che lo teneva chiuso nel sepolcro. Gesù è vivo ed è in mezzo a noi per aiutarci a liberare da tutto ciò che c’imprigiona, che ci tiene chiusi nei nostri sepolcri, da tutto ciò che non ci permette di essere liberi e di vedere in modo nuovo. Lasciamoci liberare dal Signore: è questo l’invito del Vangelo di oggi. 

martedì 16 giugno 2015

VISIONE AMPIA



 XXVI domenica/B
(Nm 11,25-29; Sal 18; Gc 5, 1-6; Mc 9, 38-48)

 “La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima; la testimonianza del Signore è verace, rende saggio il semplice” (Sal 18).

1. La Domenica è il giorno del Signore e siamo giunti attorno a questo altare per cercare ristoro in Lui, nella Sua legge, nelle Sue Parole, per trovare una risposta alle domande di senso che ci siamo posti durante la settimana e che non hanno ancora trovato una soluzione. Ci mettiamo, allora in religioso ascolto del Testimone verace, di colui che, per amore al Padre, ha donato tutta la propria vita per noi, divenendo in questo modo credibile e degno della nostra attenzione. Desideriamo, in questo modo, accogliere la saggezza che viene da Lui, per poterla condividere con i fratelli e le sorelle che durante la settimana Lui stesso porrà sul nostro cammino.

2. Nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato ci sono tre riflessioni che possiamo sviluppare per crescere nella sapienza del Signore.
La prima la prendiamo da questi due versetti:

                       “Ma Gesù disse: non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. Chi non è contro di noi è per noi” (Mc 9,39-40).

Dinnanzi alla richiesta dei discepoli, che esigono l’intervento di Gesù per censurare l’azione di qualcuno che agiva in suo nome scacciando i demoni, il Signore risponde in questo modo sorprendente, costringendo i discepoli e noi stessi ad una doverosa riflessione. Che cosa ha voluto dire Gesù con questa risposta? Credo che Gesù ci abbia invitati ad aprire i nostri orizzonti, le nostre menti. L’egoismo che chiude i nostri cuori non ci permette di guardare al di là del nostro naso e, di conseguenza, ci conduce a creare chiusure, divisioni, rivalità e, soprattutto, a vedere nell’altro non un fratello, una sorella, ma un nemico. La libertà del Signore che riceviamo dallo Spirito Santo nei sacramenti, ci spinge a rimanere aperti sul mondo, a non cercare negli altri il negativo, le differenze, ma soprattutto ciò che unisce. Gesù non è invidioso di nessuno e non considera nessuno un rivale, perché il suo modo di essere e di agire con le persone, non è misurato da questi sentimenti negativi, ma dall’amore. Ciò significa che la libertà dei figli di Dio nasce e si rafforza dall’amore che riceviamo dal Padre in Cristo. La verifica di questo amore e della verità del nostro rapporto con  Di,o la misuriamo esattamente nell’apertura che dimostriamo con le persone che non sono del nostro giro, o con quelle realtà che umanamente potrebbero esercitare una minaccia per la nostra reputazione. Queste parole di Gesù ci invitano, allora, a considerare la Chiesa non un recinto chiuso, il recinto dei buoni, ma una possibilità di crescita umana e spirituale che ci conduce, come già dicevo, non ad allontanarci dagli altri, a separarci, ma ad avvicinarci. In altre parole, i cristiani che seguono il Signore lo seguono proprio nel cammino difficile che Lui ha percorso e che ha pagato a duro prezzo, il prezzo della croce, il cammino che riesce a vedere nella persona l’immagine di Dio e quindi qualcosa di prezioso, da valutare positivamente.

                       “Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non si perderà la sua ricompensa” (Mc 9, 41).

Ancora una volta il metro di giudizio di Gesù non è l’appartenenza ad un circolo ristretto di puri, ma il modo di relazionarsi all’altro considerando un fratello, una sorella, soprattutto quando si tratta di persone in difficoltà. E’ bene, allora, approfittare di questa Parola, per verificare la nostra idea chiusa di Chiesa, il nostro modo chiuso e bigotto di andare incontro agli altri.

3. La seconda idea che possiamo evidenziare nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato è questa:

 “Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, sarebbe meglio per lui che gli passassero al collo una mola da asino e lo buttassero in mare”( Mc 9,42).

Parole durissime nelle quale Gesù intende esprimere un’idea molto semplice che, però, spesso dimentichiamo e cioè che, nel cammino di santificazione, che è un cammino di umanizzazione non siamo da soli. La vita cristiana non è una lotta per dimostrare chi è il migliore, il più bravo. La santità non è un premio che si conquista rivaleggiando con gli altri ma, come abbiamo ascoltato domenica scorsa, mettendoci dietro gli altri, a servizio dei fratelli e sorelle che il Signore pone nel nostro cammino.
Questo versetto è allora estremamente legato al precedente, perché ci invita a mantenerci sempre attenti non a noi stessi, ma alle persone che ci sono vicine, a rimanere cioè persone aperte sul mondo e sugli altri, a non chiuderci in recinti, a non considerare la Chiesa un ritrovo di privilegiati. Infatti, è questo modo di fare altezzoso e orgoglioso che spesso allontana i “piccoli”, cioè coloro che si stanno avvicinando alla comunità e che sono ancora fragili nella fede. Questi piccoli devono vedere realizzati in noi gli stessi sentimenti che erano in Gesù (cfr. Fil 2,5), che si è abbassato, si è fatto piccolo, uomo come noi per ascoltarci, per servirci, per indicarci il cammino. Gesù por essendo di natura divina, non ci ha fatto pesare la sua radicale superiorità da noi, ma l’ha messa da parte, se ne è spogliato affinché noi non ci sentissimo a disagio, ma riconoscessimo in lui un amico. In questa prospettiva, scandalizziamo, allontaniamo un “piccolo”, quando siamo arroganti, quando ci riteniamo superiori, quando utilizziamo la Parola di Dio non per cambiare la nostra vita ma per giudicare e fare a pezzi la vita degli altri. E’ questa arroganza presuntuosa che Gesù condanna, perché invece di avvicinare, allontana le persone dal Suo messaggio di amore. Lo Spirito Santo che riceviamo nell’Eucaristia di oggi, se lo lasciamo agire, trasforma il nostro egoismo in amore, le nostre chiusure in possibilità di dialogo, i nostri giudizi severi, in parole che possono costruire amicizia. Lasciamoci, allor,a trasformare dall’amore del Signore.

4. C’è un’ultima riflessione che Gesù nel Vangelo di oggi ci consegna, una riflessione dai toni duri, ma che è importante approfondire per non lasciare incompleto il suo insegnamento.

 “ Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile(Mc 9,43).

Che cosa c’insegna il Signore con queste parole? Credo che sia un invito a prendere sul serio il cammino di fede, che se ha momenti comunitari come le liturgie, procede anche attraverso scelte personali. Tra queste scelte importanti che dobbiamo compiere nel cammino, ci sono anche gli elementi che dobbiamo deciderci di togliere dalla nostra vita, quegli elementi che ostacolano la nostra crescita nell’amore. La maturazione spirituale passa attraverso momenti di estrema positività,assieme ad altri in cui dobbiamo intervenire drasticamente. E, allora, dobbiamo ogni tanto avere il coraggio di fermarci nel nostro cammino per ascoltarci, ascoltare il Signore, per capire che cosa non sta funzionando, che cosa sta ostacolando il cammino. Quante volte ci  è capitato di capire, intuire che c’è qualcosa che non va, qualcosa che ci sta lasciando tristi, dubbiosi, inquieti e, nonostante ciò abbiamo continuato lo stesso, trascinandoci per paura di ascoltare la nostra coscienza, per non voler soffrire, per non voler prendere un decisione radicale. Chiaramente la vita è fatta anche di questi tentennamenti, anche perché la vita di fede non è una corsa progressiva e inarrestabile verso la meta. L’importane, comunque, è non rimanere sepolti sotto le macerie dei nostri fallimenti, non cercare di nasconderli troppo a lungo da noi stessi per paura del giudizio degli altri. Se fossimo un popolo di santi Dio non avrebbe mandato il suo Figlio unico a morire per noi. Ciò significa che Lui sa benissimo che abbiamo bisogno del suo aiuto.
Chiediamogli, allora, in questa Eucaristia di aiutarci, durante questa settimana, a non scappare da noi stessi, ma di fermarci per avere il coraggio di togliere dalla nostra anima quei tumori spirituali che possono pregiudicare tutta la nostra esistenza, la nostra felicità.






INCOMPRENSIONI



XXV DOMENICA/B
(Sap 2,12.17-20; Sal 53;Gc 3,16-4,3;Mc 9,30-37)

1.  San Giacomo, nella seconda lettura che ascolteremo oggi, ci ricorda che la sapienza che viene dall’alto è piena di buoni frutti e cioè, quando viene accolta, non torna mai a mani vuote. Una vita differente, quindi, vita in cui le parole giustizia, pace, misericordia acquistano un peso esistenziale, una possibilità effettiva. E’ per questo che tutte le domeniche ci mettiamo in ascolto della Parola, perché desideriamo uscire dal mondo della non autenticità, della falsità, dell’ipocrisia, delle relazioni fatte di invidie e gelosie (cfr.Gc 4, 3s.).  Nella Parola di Dio intravediamo un cammino che, però, non appena ci immettiamo in esso, lo troviamo pieno di ostaci e difficoltà.

2. “I discepoli, però non comprendevano queste parole e avevano timore a chiedergli spiegazioni” (Mc 9, 32).

Questa è la prima difficoltà che incontriamo nel cammino di uscita dalla nostra vita insipida, per dirigerci dietro al Signore: la comprensione di quello che Lui dice ed esige. Questa incomprensione non deriva dal fatto che Gesù parla troppo difficile, ma che quello che dice si pone si di un livello totalmente differente dal nostro modo di essere e di pensare. Noi, per esempio, viviamo tutti i giorni delle relazioni fatte di odi, rancori, gelosie, in cui facciamo di tutto per sentirci migliori degli altri. Il Signore, invece, ci viene incontro invitandoci ad amare, amare i nemici, pregare per loro. Ci viene allora spontaneo non capire, interrogarci sul significato delle sue parole: non le capiamo, sono troppo oltre le nostre condizioni di possibilità esistenziale. Ancora.
 Nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato, mentre Gesù parlava alle folle, i discepoli erano intenti a discutere sul problema di chi tra loro fosse il più importante, il più grande. Gesù, allora,

                      “sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: se uno vuole essere il primo   sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti” ( Mc9, 35).

Che cosa ha voluto dire il Signore con una frase del genere? Non è qualcosa di totalmente differente da quello che viviamo noi ogni giorno? Che cosa significa che dobbiamo essere l’ultimo di tutti? Come si fa?
Certamente quello che Gesù ci chiede non è un cammino sul piano materiale, ma spirituale. Sarebbe troppo facile, infatti, pensare che il cambiamento richiesto da Gesù si riducesse ad un movimento esteriore,  da un luogo ad un altro. E’ il cuore che deve essere purificato ( cfr. Ger 31, 31, Ez 36,12; Sal 51; Rom 5,5), affinché la persona diventi capace di uno sguardo nuovo sul mondo e sulla vita, di sentimenti nuovi su se stesso e sugli altri, di atteggiamenti nuovi che non umiliano il prossimo, ma lo valorizzano, non disprezzino gli altri per ciò che non hanno, ma lo accolgano nella sua dignità di figli e figlie di Dio. Questo modo di pensare nuovo, questo cambiamento radicale di prospettiva, non è assolutamente alla portata delle possibilità umane. Per questo osserviamo la grande fatica dei discepoli e, allo stesso tempo, della nostra, di capire il cammino proposto da Gesù e di entrarci. E’ qualcosa di radicalmente differente da ciò che viviamo e pensiamo tutti i giorni, nella vita quotidiana. Ed è proprio questo che il Signore vuole realmente rivoluzionare: la nostra vita quotidiana.

 Il Vangelo dovrebbe penetrare così profondamente in noi, da modificare il nostro modo di valutare gli eventi, di giudicare la realtà, di muoverci nel mondo. Vedere il mondo dalla prospettiva di Dio, vederlo e pensarlo come lo vede e lo pensa Lui, vedere gli altri, le persone amiche e coloro che ci fanno del male come le guarda Dio: è questo il senso del cammino cristiano. E’ chiaro, allora, che non si tratta di un percorso che noi possiamo realizzare a partire dalle nostre possibilità umane, dai nostri sforzi umani. Abbiamo il cuore troppo pieno di noi stessi. Abbiamo l’anima troppo intrisa di egoismo, gli occhi accecati dall’orgoglio, i pensieri contaminati dal male. Esattamente per questo motivo che Gesù è venuto al mondo: per aiutarci. Aiutarci a fare cosa? Ad uscire da noi stessi, dalle prigioni che ci costruiamo ogni giorno con il nostro egoismo, dalle ragnatele dell’invidia e della gelosia che bloccano e paralizzano i nostri rapporti, spesso anche i più importanti e più significativi. Dio ha mandato suo Figlio al mondo per aprirci il cammino dell’amore, della vita autentica: è questa la sapienza che viene dall’alto. E siccome viene dall’alto, l’unica cosa che possiamo fare è accoglierla, farle spazio nella nostra vita.

                            “Chi accoglie me, non accogli me, ma colui che mi ha mandato” (Mc 9,37).

3.  Se ci pensiamo bene, l’Eucaristia che stiamo celebrando è strutturata esattamente in questo modo: prima c’è l’ascolto della Parola di Dio e poi la manducazione del Corpo di Cristo e cioè la Sua assimilazione, la Sua accoglienza. Accogliere la sapienza che viene dall’alto, che noi stiamo manifestando nella partecipazione di questa liturgia, significa accettare la sfida che Gesù ci propone e cioè tentare di cambiare lentamente il modo di vivere, di essere, di pensare. Siccome mangiando il Suo Corpo abbiamo accolto il Signore dentro di noi, non si tratta più di un semplice sforzo umano, ma di una risposta ad un appello. Mentre, cioè, nella vita reale mi sforzo di cercare l’ultimo posto, di servire i fratelli e le sorelle, percepisco in me una forza che mi aiuta e sostiene in questo cammino nuovo. Cammino che genera tensioni, incomprensioni, perché gli altri non capiscono che cosa stia facendo e perché mi comporti in questo modo. Cammino che genera persecuzioni, contrasti:

                                  “Tendiamo insidie al giusto, perché ci è di imbarazzo ed è contrario alle nostre azioni… Mettiamolo alla prova con insulti e tormenti” (Sap 2, 12.19).

4. La via che il Signore ci propone di accogliere, perché è l’unica via che conduce alla vita vera, è la via dell’amore e l’amore vissuto, che si fa servizio gratuito, che si mette all’ultimo posto, che non cerca il proprio interesse, che si pone dalla parte che Gesù si è posto e cioè degli ultimi di questo mondo, dà fastidio.
Chiediamo, allora, al Signore in questa liturgia di aiutarci a mantenere lo sguardo fisso su di Lui, per non lasciarci impaurire e impressionare dal male e dall’odio del mondo, per riuscire a portare sulle nostre spalle il peso e la fatica di una vita autentica, una vita differente, una vita vissuta nell’amore.


LA DOMANDA IMBARAZZANTE



XXIV DOMENICA/B
(Is 50,5-9a; Sal 114;Gc 2,14-18;Mc 8,27-35)

1.                       Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza” (Is 50,5)
E’ questo il primo versetto della liturgia della Parola di oggi, versetto che facciamo nostro, chiedendo al Padre di aprire le nostre orecchie, affinché sappiamo comprendere quella Parola che alimenta la nostra fede e, allo stesso tempo, ci indica il cammino da seguire. Cammino che desideriamo percorrere per non cadere nell’errore che l’apostolo Giacomo, nella seconda lettura di oggi, stigmatizza:

Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo?” (Gc 2,14).

Desideriamo, allora capire la Parola del Signore, per amarlo sempre di più e vivere ciò che ci suggerisce.


2.      Chi dice la gente che io sia?… E voi chi dite che io sia?” (Mc 8,27.29).

Il senso della nostra vita di fede si racchiude nella risposta a queste due domande che il Signore oggi dirige ai suoi discepoli e oggi, in questa liturgia, a noi. Dalle risposte della gente, possiamo osservare che c’è una conoscenza di Dio che non serve a nulla, cioè non conduce alla salvezza. E questo è un primo ed importante insegnamento. Ciò significa che, se le nostre nozioni su Dio che abbiamo appreso a catechismo o in letture personali,  non si traducono in una risposta libera e personale, in un’adesione alla Parola del Signore, queste nozioni non servono a nulla. Compito della Chiesa è dunque condurre i fedeli ad una scelta libera e responsabile della proposta del Signore, proposta che coinvolge tutta la vita. Se questo è vero, una parrocchia non può sentirsi soddisfatta per il semplice fatto che organizza il catechismo per i bambini, ma perché offre una possibilità alle persone che partecipano della comunità di conoscere il Signore.
Dall’altra parte è interessante anche osservare il metodo educativo di Gesù. Infatti, non solamente parla alla folla e vive intensamente la propria relazione con il Padre, ma stimola una riflessione personale nei suoi discepoli. Le due domande che Gesù dirige ai discepoli, sono il modo semplice per aiutarli ad entrare in loro stessi, e cercare i motivi profondi del loro discepolato. Abbiamo ricevuto i sacramenti e tutte le domeniche partecipiamo all’Eucarestia: bene. Oggi il Signore ci chiede: perché? La nostra risposta esige una rielaborazione dei dati in nostro possesso, una rilettura del nostro passato alla luce del Vangelo e, soprattutto, una verifica del nostro presente. Se Gesù è per noi il Cristo, come lo è per Pietro, allora tutta la nostra esistenza è nelle mani del Signore. Chiediamoci, allora, se per noi oggi è davvero così, o se ci sono ancora delle parti nella nostra vita che  teniamo per noi, che non vogliamo che nessuno ci metta il naso?
Dire a Gesù: “Tu sei il Cristo”, ha delle conseguenze nella nostra vita di fede che dobbiamo prendere seriamente in considerazione, se non vogliamo correre il rischio del fariseismo e cioè di una vita di fede ipocrita, falsa.


3.                                     “Lungi da me satana! Perché tu non pensi secondo Dio,  ma secondo gli uomini” (Mc 8,33)

Dire a Gesù: “Tu sei il Cristo”, significa aver appreso a pensare secondo Dio. Certamente questo non è frutto dell’intelligenza umana e di uno sforzo personale, ma è un dono di Dio. Pensare secondo Dio significa accettare la vita così come Dio la pensa e non come noi la vogliamo.

 “E cominciò insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire” (Mc8,31).

E’ proprio questo che ci spaventa e non vogliamo accettare né sentire. Non vogliamo saperne di soffrire e il mondo fa di tutto per offrirci una vita senza sofferenze, una vita tranquilla, rilassata, calma. Gesù soffre non perché  è un masochista, ma perché è il prezzo che la vita nell’amore deve pagare nel mondo dell’egoismo. La vita dell’uomo nel mondo è la vita di colui che pensa solo a sé stresso, ai propri interessi. Gesù venendo al mondo ha voluto mostrare l’inutilità di questa vita, inutile perché distrugge alla radice il senso stesso della vita che è amare, e amare, nella prospettiva del Signore, è donarsi gratuitamente. E’ questo il pensiero di Dio che non entra nella testa dell’uomo, della donna immersi nel mondo. La conversione alla quale il Vangelo ci chiama è esattamente questa: uscire dal mondo dell’odio, per entrare nel mondo dell’amore. Da soli è impossibile percorrere questo cammino. Per questo Gesù è venuto al mondo, per aprire un solco nella storia e chiamare tutti a seguirlo senza preoccuparsi troppo delle conseguenze, della propria vita. E’ Lui, infatti, il Signore della Vita e della storia, ed è seguendo Lui che  potremo vivere per sempre.

“Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà” (Mc 8, 35)

Se la logica del mondo ci spinge a primeggiare, a fare di tutto per vincere, per dimostrare di essere i migliori passando sopra ad affetti e ad amicizie, Gesù ci insegna che il pensiero del Padre è esattamente il contrario: perdere. Seguire Gesù nel cammino dell’amore, che è il cammino della vita autentica, significa perdere il desiderio di primeggiare nel mondo, di voler essere il primo, di contare qualcosa, di essere considerato qualcuno,  ma desiderare di essere l’ultimo e il servo di tutti. E’ proprio questo che il Signore ci ha insegnato non solo con le parole, ma anche con l’esempio. Quando infatti, nell’ultima cena si è messo in ginocchio ed ha cominciato a lavare i piedi ai discepoli, ha voluto insegnarci proprio questo stile di vita nuovo, evangelico (cfr. Gv 13). Amare è perdere il mondo, è accettare di vivere ad un altro livello, per salvare la propria vita dall’egoismo e dall’orgoglio. Chiaramente questa trasformazione, questo uscire dal mondo per immettersi nella vita del Signore, provoca tensioni in noi e fuori di noi, tensioni che generano incomprensioni e, a volte, persecuzioni.


4. Ogni volta che ci avviciniamo all’altare per cibarci del corpo di Cristo, manifestiamo la disponibilità a perdere (il mondo) per guadagnare l’amore. Che cos’è, infatti, l’ostia, il corpo di Cristo, se non quell’unico frammento di umanità che ha resistito alle lusinghe del mondo per donarsi totalmente al Padre e ai fratelli e sorelle? Mangiando il Tuo Corpo, Signore, manifestiamo il desiderio di essere strumenti docili nelle Tue mani, per divenire noi stessi corpo di Cristo, alimento per il mondo, “affinché il mondo creda” (Gv 17).




L'OPZIONE PREFERENZIALE PER I POVERI



XXIII DOMENICA/B
(Is 35,4-7a; Sal 145; Gc 2,1-5;Mc 7,31-37)



1. Il tema  generale della liturgia della Parola di questa domenica è chiarissimo: l’amore preferenziale di Dio per i poveri. Ne parlano tutte le letture, compreso il salmo. Non si può quindi fuggire da nessuna parte, bisogna parlare proprio di ciò.
In un contesto di benessere diffuso come il nostro, fa un po’ senso parlare di poveri e povertà. Anzi, forse ci si arrabbia un po’ con Dio e ci si chiede con fastidio perché Lui vuole sempre parlare di “queste cose”. Il fastidio nasce anche dal fatto che poi si sa che queste parole nessuno le vive e allora le si ascolta, nonostante tutto, ma poi ognuno fa ciò che vuole, come in molti casi.
Credo, invece, che la  Parola di Dio sia una  vera benedizione, perché ci costringe, ci forza ad ascoltare ciò che non vorremmo ascoltare e cioè che nonostante il nostro perbenismo di facciata, la strada della conversione è ancora molto lunga, anche perché questa strada non può che passare per il volto dei poveri, quel volto che troppo spesso noi non vogliamo guardare neanche da lontano. E invece i poveri sono sempre li, e ne arrivano sempre di più a turbare i nostri piani, le nostre belle ed educate giornate. Ne arrivano tutti i giorni a palate  sulle nostre coste per ricordarci che, nella realtà, quella realtà che neghiamo con il nostro menefreghismo, i tre quarti della popolazione del mondo è indigente, vive di stenti, in condizioni igieniche precarie.
 “Ma che colpa abbiamo noi se ci sono tanti poveri? Noi tutti i giorni lavoriamo, educhiamo i nostri figli: che cosa dobbiamo fare di più?”.

2. La Parola di Dio che abbiamo ascoltato, non ci pone dinanzi delle analisi sociologiche e nemmeno storiche. Non cerca, infatti, d’indagare i motivi della povertà del mondo, ma ci dice semplicemente da che parte Dio sta.
“Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo?” (Gc 2, 5).
Questa è la scelta di Dio e, se qualcuno si sente così saggio da metterla in discussione, si faccia avanti. Per coloro, invece, che dinanzi alla Parola di Dio, si pongono in religioso ascolto (come ci insegna il concilio Vaticano II nel documento Dei Verbum),  non resta che interiorizzare questa Parola, per tradurla in scelte di vita.
E’ questo il cammino che dobbiamo compiere tutti assieme, perché tutti abbiamo bisogno della Parola per vedere il cammino da percorrere.
 Dio è la sorgente della verità e della pace, ci dice la preghiera sulle offerte di oggi, ciò significa che la pace è il dono che il Signore fa a coloro che, con assiduità, si sforzano di vivere la Verità che Lui  ci dona. Verità che spesso è contraddetta dallo stile di vita del mondo e che, quindi, fatichiamo a riconoscere e vivere. Per questo il Signore oggi nel Vangelo si presenta come un taumaturgo che apre le nostre orecchie, divenute sorde dai rumori del mondo, e cura i nostri occhi accecati dalle illusioni che si presentano ai nostri sensi.

3.          “Coraggio non temete; ecco il vostro Dio… Egli viene a          salvarvi. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi(Is 35, 4).
Dio interviene nella storia per “Salvare”: è su questo che mi sembra importante riflettere. Se Dio infatti, interviene nella storia per salvare l’umanità, è perché  la vede malata, povera, bisognosa di un intervento salvifico. In questa prospettiva il significato della povertà si allarga a dismisura e va ben oltre del semplice anche se autentico, significato materiale. Se Dio interviene nella storia per soccorrere un’umanità povera, cieca, sorda, storpia, ecc., allora tutti noi, tutta l’umanità è racchiusa in queste categorie. A questo punto allora il problema  è il seguente: ma come ci vede  Dio? Perché Lui, che è l’Onnipotente, mi vede in questa maniera, che è il contrario della visione che io ho di me stesso?
Dio ci vede malati, zoppi, ciechi e sordi, in una parola: poveri. E ci vede così perché è Lui che ci ha creati e quindi  conosce bene il progetto originario dell’umanità. E’ chiaro che il possesso di soldi o cose non dice assolutamente nulla della nostra situazione esistenziale o spirituale davanti a Dio; al massimo la peggiora. Dio ci vede poveri, malati, tremendamente ciechi e sordi perché pieni di noi, egoisti, concentrati solo su noi stessi, le nostre cose. Con l’andar del tempo questa situazione egoista, questa condizione umana permeata dall’egoismo ha prodotto i suoi frutti marci: la disuguaglianza, le divisioni, i soprusi.
 E così accanto al benestante incontriamo “il povero dal vestito logoro(Gc 2,2),  accanto ai ricchi, senza problemi, nelle loro case super attrezzate e rinforzate per proteggersi dagli stranieri che sono tutti dei ladri e scansafatiche, incontriamo gli oppressi, affamati, prigionieri, stranieri (Salmo 145). E’ inutile dire che queste cose così storte, così fatte male, Dio non le ha pensate, non le poteva pensare, nemmeno sognare. Perché Dio è buono, è misericordioso, è l’amore e chi ama non può fare queste cose così sbagliate, così storte e  insensate. Ed è per questo che Dio, il Padre sta dalla parte dei poveri. Non è una scelta discriminatoria, ma di amore e di misericordia. Infatti, il povero, la situazione di indigenza è un segno dell’ingiustizia dell’uomo. Se Dio ha creato il mondo affinché tutti potessero  usufruirne, se qualcuno ha di più e altri non hanno nulla è perché è avvenuto qualcosa che distorce il progetto originario. La ricchezza è il segno di una ingiustizia: questo è un dato biblico incontestabile. La vita del cristiano, sia a livello personale, che familiare e sociale, è chiamata continuamente a pensare forme di condivisione, di solidarietà. Se abbiamo è per dare e,  soprattutto non possiamo permetterci il lusso di accumulare. A partire da questi principi economici ispirati dal Vangelo, si muove tutta l’esperienza sociale cristiana. Il problema, a questo livello, non è sul fare o non fare quella cosa o quel mestiere: l’accento del Vangelo  è costantemente posto sulla persona e sulla misericordia del Signore.
 A questo punto posso fare ciò che voglio (è la libertà del cristiano che san Paolo nelle sue lettere stimola continuamente: cfr. 1 Cor 6,1ss.), posso guadagnare un sacco di soldi (chiaramente se si tratta di lavoro onesto), l’importante è che non pensi solamente a me, ma che il pensiero degli altri, del prossimo, muova i miei pensieri economici e sociali.

4.
 “E subito si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua” (Mc 7, 35)

E’ quello che vogliamo che Tu, Signore, faccia con noi, affinché possiamo uscire dalle nostre ipocrisie fatte di parole vuote, di idee geniale e profonde, ma non accompagnate da scelte altrettanto coraggiose. Ti chiediamo, allora, Signore, nell’Eucaristia di questa domenica, di aprire le nostre orecchie ottuse e chiuse dall’egoismo che sa solo giudicare gli altri, che sa solo guardare i difetti degli altri, che riesce solo a fare i conti nelle tasche degli altri e si dimentica di verificare i propri. O Signore,  aiutaci ad avere tra di noi parole di giustizia e di misericordia, affinché sappiamo condividerle per elaborare stili di vita capaci di modificare i sistemi di egoismo che il mondo costruisce e che pesano come macigni sulle nostre coscienze. Aiutaci, Signore, ad uscire con semplicità dagli schemi perversi del consumismo, per promuovere in ogni momento, a partire dalle nostre famiglie, dalla nostra famiglia, Chiesa domestica, un frammento di umanità nuovo, simile a quello che tu hai voluto costruire, in cui apprendiamo a rispettare i poveri del mondo vivendo con sobrietà, smettendo di pensare solo a noi stessi, giustificandoci per il nostro stile di vita spaventosamente consumistico, dicendo che tutti fanno così. Illumina i nostri occhi, Signore,  per mostrarci il cammino per il quale ci sentiamo attratti , ma che spesso facciamo fatica a riconoscere.
Infine, ti chiediamo, Signore, una Chiesa che sappia stare sempre dalla parte giusta, che è la parte che Tu hai scelto, la parte dei poveri, degli oppressi del mondo, per poter indicare al mondo la sua malattia e, così sentire il bisogno di una redenzione. Amen.








IL CUORE DIVISO








XXII DOMENICA\B
(Dt 4,1-8; Sal 14; Gc 1,17-27; Mc7, 1-23)


1. La liturgia della Parola che abbiamo ascoltato nel mese di agosto, ci ha proposto una riflessione sul tema dell’Eucaristia, facendoci ascoltare il capitolo sei del Vangelo di Giovanni. Con questa domenica riprende la lettura continua del Vangelo di Marco e ci mettiamo, allora, in ascolto di questa Parola per potere già da adesso abitare nella casa del Signore, camminando senza colpa sulla strada che lui oggi ci indica (Cfr. Sal 14).

2. La polemica di Gesù con i farisei nel capitolo 7 del Vangelo di Marco, tocca un tema centrale nella vita spirituale del cristiano: l’ipocrisia.
“Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: ‘Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me’” (Mc 7,6).
L’ipocrisia è esattamente questo e cioè il fare una cosa e pensarne un’altra, una separazione tra la vita interiore e esteriore. Il tema è estremamente importante perché ci pone dinanzi il pericolo costante di trasformare il culto in tradizioni umane, imprigionando, così, la Parola di Dio in una serie di precetti che con Dio non hanno nulla a che fare.  Accade questo in noi quando vogliamo mantenere la nostra bella apparenza davanti agli uomini e, allo stesso tempo, non siamo disposti a rinunciare alle esigenze che la Parola di Dio ci indica. Siamo, allora, costretti a condurre un’esistenza falsa, fatta di sotterfugi, un’esistenza divisa tra esterno ed interno. Non esiste uomo o donna che non senti il peso interiore della falsità che sta vivendo, dell’ipocrisia che giorno dopo giorno sta devastando la sua vita. Il problema grave è che, nonostante ci accorgiamo di ciò, della menzogna nella quale stiamo vivendo, facciamo di tutto per non sentire, per trovare delle scuse e metterci il cuore in pace. Partecipiamo al culto della Chiesa lodando Dio a squarcia gola e dentro di noi coviamo pensieri negativi che poi si traducono in atti, che contraddicono il culto celebrato. Anche perché è impossibile riuscire a controllare in tutto la propria vita: prima o poi l’incoerenza emerge, l’ipocrisia smaschera il nostro vero volto.
 Gesù nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato ci dice che, quando viviamo in questo modo diviso, giungiamo a trascurare il comandamento di Dio per osservare la tradizione degli uomini. Che cosa significa ciò? Significa che l’ipocrita è colui che non vuole cambiare, non vuole portare il peso di un cambiamento, perché non vuole lasciare la sua vita, il suo progetto di vita. E allora si protegge da Dio, anticipando la sua Parola con una serie di precetti umani, di tradizioni umane, per controllare la propria religiosità e sentirsi buono, nonostante tutto
. E così vado a Messa alla domenica e, una volta tornato a casa, non cambiano in nulla i miei atteggiamenti negativi in famiglia e nelle relazioni aggressive o di indifferenza con gli altri. Ancora. Partecipo di incontri formativi o di ritiri spirituali, ma poi non sono disposto a compiere gesti concreti di condivisione con le persone che soffrono vicino a me. Continuo imperterrito a recitare rosari, ma se sento parlare di poveri o di extracomunitari, mi irrito e vorrei che sparissero dalla faccia della terra.
 Un culto così, che non trasforma qualitativamente la nostra esistenza, non serve a nulla, anzi è peggio perché scandalizza coloro che sono fuori dal culto, perché ci vedono così religiosi e, allo stesso tempo, così mostruosi, sempre più egoisti e orgogliosi.
Che cosa possiamo fare, allora, per uscire da questa vita ipocrita, che fa male a noi e al mondo che ci circonda?

3. Ancora una volta è la Parola di Dio che ci dà l’indicazione giusta per uscire da questo che sembra essere un vicolo sempre più cieco.
 “Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive” (Mc 7,21).
Possiamo guarire dal cancro spirituale dell’ipocrisia, solamente se accettiamo di smetterla di curare la nostra immagine esterna, solamente se la smettiamo di preoccuparci di quello che gli altri pensano di noi, in altre parole se la smettiamo di cercare la gloria degli uomini (Cfr. Gv12).
Gesù ci offre un’indicazione stupendamente concreta per guarirci dalla nostra malattia dell’anima: si parte dal cuore. Nella vita spirituale ci sono delle priorità e, una di queste, è esattamente quella che Gesù ci indica oggi. Non possiamo pensare di uscire da una condizione di vita falsa e ipocrita, basata sui nostri bisogni, le nostre voglie, facendo di tutto perché gli altri pensino meraviglie di noi, continuando a curare la nostra immagine esterna. Chi segue questo percorso è destinato prima o poi a scoppiare, trovandosi con la vita divisa in due, il cuore che va da una parte e gli atti che vanno per la loro strada, senza nessuna connessione con l’anima.
 Si esce dalla vita ipocrita e si entra nella Verità solamente cominciando a curare il cuore, cioè la coscienza, lasciandola plasmare lentamente, giorno dopo giorno,  dalla Parola di Dio. Può sembrare una proposta irreale, senza senso, troppo “spirituale”, ma  coloro che la stanno percorrendo sanno benissimo che non esiste nel mondo proposta più vera e reale. Come tutte le cose che vengono da Dio, anche questa non si presenta come un’imposizione, ma solamente come una proposta, che fa leva sulla nostra esperienza interiore,  una proposta che può essere solamente passata agli altri attraverso la testimonianza.
 Gesù ci insegna oggi che la nostra felicità è  data da una vita unita, in cui gli atti che compiamo sono il frutto di ciò che pensiamo. C’insegna anche che, per raggiungere questa unità, fonte della vera felicità, dobbiamo percorrere il cammino della vita interiore, della purificazione del cuore, dell’interiorizzazione della Parola di Dio.

4. A questo punto del discorso ci possiamo porre un’ultima domanda.
Va bene, allora, iniziamo a curare la nostra anima, ma come facciamo a sapere se questo metodo funziona o se invece non siamo caduti nell’intimismo religioso, nell’individualismo egoistico?
E’ Gesù stesso che, nel Vangelo di oggi, ci suggerisce la risposta.
“Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrato in lui, possa contaminarlo” (Mc 7,15).
L’uomo, la donna, che segue il Signore, che medita ogni giorno la sua Parola conformandosi ad essa, che accoglie la sua grazia che riceve nei sacramenti, diventa impermeabile al male. Se  ci pensiamo bene, ci troviamo dinanzi a qualcosa di veramente grande. Quante volte, infatti, ancora oggi, dopo tanti anni di cammino, di eucaristie, di vita sacramentale, il male del mondo ci sconvolge, ci lascia impietriti, provoca pensieri e sentimenti negativi di odio e di morte!
Il Signore ci dice semplicemente questo: il frutto della vita sacramentale, della vita in Lui è la resistenza al male del mondo. Seguendo il Signore riusciamo a vivere nel mondo senza che questi provochi in noi sentimenti negativi, attingendo la nostra anima per distruggerla.
Chiediamo al Signore, in questa Eucarestia domenicale, di donarci l’umiltà d’incamminarci con più serietà e disponibilità sulla strada che oggi ci propone, per riuscire a vivere una vita più autentica e per essere capaci di rispondere al male del mondo con il bene che Lui pone nei nostri cuori.






LO SPIRITO DATORE DI VITA





XXI DOMENICA\B
(Gs 24, 1-18; Sal 34; Ef5, 21-32; Gv 6, 60-69)


1. In queste ultime domeniche la liturgia della Parola ci ha offerto l’opportunità di meditare sul capitolo 6 del Vangelo di Giovanni e, quindi, sul tema dell’Eucarestia. Questa riflessione si conclude oggi in un modo un po’ drammatico. Infatti, questo discorso di Gesù, invece di infiammare i cuori degli ascoltatori, finisce per provocarli negativamente e, di conseguenza, di allontanarli. A questo punto non ci rimane che da chiederci. Perché il discorso sull’eucarestia è così duro e perché è un discorso che allontana?

2. “Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?… E’ lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita.” (Gv 6,60.63).
Le parole che Gesù ha detto sul suo corpo e sul suo sangue non sono carnali, ma spirituali, non vanno interpretate cioè in modo materialista, ma bisogna cercarne lo spirito. Questa sottolineatura che lo stesso Gesù fa, ci deve aiutare a capire il motivo della durezza apparente di queste parole e la conseguente incomprensione di molte persone che lo seguono. E’, in primo luogo, un cammino di spiritualizzazione che il signore ci chiama a compiere, che è allo stesso tempo una smaterializzazione, uno sforzo di spiritualizzare i nostri sensi affinché la nostra percezione della realtà possa essere sempre di più profonda. E’ in questa prospettiva possiamo leggere il primo motivo dell’abbandono di alcuni discepoli: la non disponibilità ad abbandonare il mondo della materia, la propria concezione materialista del mondo per entrare nel mondo di Dio, nel quale Gesù vuole farci entrare,  introdurre. Non si può capire la profondità del mistero eucaristico che è allo stesso tempo il mistero di Gesù stesso, se non si è disponibili a camminare con Lui, a seguirlo e, questa sequela, esige una trasformazione, una spiritualizzazione che è il senso profondo della conversione. Convertirsi, in questa prospettiva, uscire da una visione materialista e immediata della realtà, per entrare in una visione più spirituale e profonda. La carne, che è il dato immediato che i nostri sensi ricevono della realtà, non è il tutto della realtà, ma nasconde qualcosa che deve essere scoperto. Per questo in questo mondo materialista, carnale – non in senso morale, ma culturale – facciamo fatica a vivere i riti, a sentirli importanti nella nostra vita e, spesso, li viviamo perché fanno parte del nostro passato, delle nostre abitudini, della nostra “pelle”. Il grande rischio per noi occidentali, che viviamo in una cultura sempre più materialista, che identifica la materia con la realtà, è proprio questo: abituarci alla materialità dei riti, perché incapaci di scendere e cogliere la profondità spirituale dei misteri che celebriamo. Questo è un male perché poi non riusciamo a legarli alla vita e, di conseguenza, col passare del tempo li abbandoniamo o, li frequentiamo per forza di inerzia.

3. Dove ci vuole condurre il Signore in questo cammino spirituale, che ci chiama a realizzare attraverso il suo Corpo e il suo sangue? Se la risposta dev' essere dettata dall’ascolto della Parola di Dio, allora le prime due letture che abbiamo ascoltato indicano la stessa direzione: un impegno di servizio.
Se vi dispiace servire il Signore, scegliete oggi chi volete servire: se gli dei che i vostri padri servirono oltre il fiume, oppure gli dei degli Amorrei, nel paese dei quali abitate. Quanto a me e alla mia casa, vogliamo servire il Signore” (Gs24,18).
L’Eucarestia domenicale è proprio questo: un incontro misterioso con il Signore nel quale chi partecipa è invitato a decidersi, a compiere una scelta decisiva e cioè se vivere per il Signore o per se stessi. La vita adulta, psicologicamente matura si rivela nella capacità di prendere delle decisioni permanenti: è questo che ci invita a compiere il Signore. Sono infatti i bambini, che giocano con la vita e non vogliono e nemmeno possono assumersi qualsiasi responsabilità. La persona diventa adulta quando liberamente sceglie il cammino della propria vita. Questo è uno dei significati più profondi del mistero eucaristico, al quale siamo invitati a partecipare ogni domenica.
Il problema maggiore che a questo punto si presenta è sul tipo di partecipazione che deve stimolare una risposta personale e libera. Se noi, infatti, che partecipiamo al banchetto eucaristico, siamo invitati a prendere una decisione definitiva, questo è possibile farlo solamente in una situazione di libertà, se no sarebbe costrizione, imposizione. Ciò significa che nessuno può seguire, servire, obbedire il Signore per forza, perché obbligato: non funzionerebbe. E’ forse questo il caso di tutti quegli adolescenti costretti dai loro genitori a partecipare dei corsi di catechismo, senza essere mai coinvolti in una decisione personale. Dopo anni di partecipazione forzata la stragrande maggioranza dei ragazzi abbandona la Chiesa. Oppure possiamo pensare anche a quella massa di cattolici che partecipa dell’Eucaristia domenicale per forza di inerzia, abitudine. In questi casi l’incontro con il Signore non cambia nulla della propria vita, dei propri progetti.
Per incontrare il Signore e accettare la sua proposta, bisogna esserci, occorre essere presenti e, per certi aspetti, occorre aver desiderato e voluto quell’incontro. E’ questo il senso della preparazione, del fare memoria  e dell’arrivare al banchetto eucaristico con il desiderio di una vita diversa, più coerente e conforme al Vangelo che si desidera vivere. Se ci pensiamo attentamente, tutta la struttura della liturgia eucaristica è strutturata affinché l’incontro tra il Signore e il popolo di Dio avvenga e produca una risposta il più possibile personale. Infatti la liturgia penitenziale prepara i cuori per l’ascolto della Parola di Dio, che deve illuminare le nostre menti, la nostra volontà per deciderci poi, con l’aiuto del Signore che riceviamo dal suo Corpo, di rispondere affermativamente alla sua proposta dicendo: Amen.
Il popolo rispose a Giosuè: ‘Noi serviremo al Signore nostro Dio e obbediremo alla sua voce!’”. (Giosuè 24, 24).

4. Se è vero che l’Eucarestia domenicale coinvolge la nostra libertà per un servizio definitivo per il Signore, rimane però ancora aperto un problema: che cosa significa servire il Signore?
E’ san Paolo, nella seconda lettura di oggi che ce lo spiega. “E voi, mariti, amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa” (Ef 5, 25).

San Paolo utilizza l’immagine sponsale di marito e moglie per spiegare la relazione che deve intercorrere tra Lo sposo Cristo e la Chiesa sua Sposa. Servire il Signore, che è l’obiettivo di ogni Eucaristia, significa amare la Chiesa come Cristo l’ha amata: E com’è che Cristo ha amato la Chiesa? Morendo per Lei, donandosi totalmente a Lei, senza  risparmiare nulla di sé, ma donandosi totalmente e gratuitamente. È a questo amore gratuito, libero e disinteressato, che l’Eucaristia domenicale vuole condurci, per liberarci dal nostro egoismo. Chiediamo allora al Signore un poco di umiltà affinché ci aiuti a compiere questo cammino, ci aiuti cioè a servirlo come lui ha servito la Chiesa, donandosi e morendo per lei.