lunedì 15 aprile 2024

SOVVERTIRE LE USANZE

 


Lo abbiamo infatti udito dichiarare che Gesù, questo Nazareno, distruggerà questo luogo e sovvertirà le usanze che Mosè ci ha tramandato (At 6.8). Il problema è il sovvertimento delle tradizioni, che la proposta di Gesù sembra provocare. Non c’è la messa in discussioni delle tradizioni, ma la preoccupazione che rimangano inalterate. Anche perché, ormai, con l’azione e l’attività delle prime comunità cristiane, la parola è uscita nella storia e sta divenendo realtà. È il modo di vivere dei cristiani che preoccupa il potere, perché è così diverso da smascherare l’inganno delle false tradizioni, che il potere politico e religioso ha imposto nel tempo. Il problema, a questo punto, diventa il popolo semplice, che non s’interroga e che non ha la forza di contrastare il peso delle tradizioni. Gesù, invece, ha gli argomenti che dimostrano l’inganno delle tradizioni umane che si sono sostituite addirittura alla Parola di Dio (cfr. Mc 7, 1s).

In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati (Gv 6,26). Versetto molto legato a quello precedente degli Atti. C’è una materialità nella sequela che va tenuta conto. Ci sono delle domande che sorgono nella vita religiosa che non hanno un carattere spirituale, ma materiale. Le tradizioni nascono proprio perché offrono risposte ai problemi materiali. Senso di sicurezza, è questo che offrono le tradizioni, che s’inseriscono perfettamente sull’istinto di sopravvivenza. Il nuovo provoca tensioni, destabilizza e, per questo, è rifiutato. L’annuncio di Gesù è destabilizzante proprio perché mette in crisi le istituzioni, le tradizioni, mostrandone i limiti e, spesso e volentieri, la falsità. Ci sono infatti tradizioni, che ingannano l’uomo, e sono create proprio per servire il potere. È di questo tipo di tradizioni fraudolente che il Vangelo diventa corrosivo, perché mostrandone l’inganno, allo stesso tempo indica il cammino per una trasformazione che deve giungere ad una sostituzione. 

giovedì 11 aprile 2024

DENTRO LA STORIA

 



 

Paolo Cugini

Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini” (At 5). Che cosa significa, concretamente, questa frase dell’apostolo Pietro? Come si fa ad obbedire a Dio? C’è un cammino di discernimento da compiere che passa attraverso un duplice percorso. Il primo è la relazione con il Signore, la sua Parola assimilata quotidianamente nella meditazione e nella riflessione si personale che comunitaria. Il secondo è la costante attenzione alla realtà, al vissuto quotidiano.

 È infatti nel presente della storia che è possibile scorgere gli indizi della presenza del risorto. Fare la volontà del Signore, dunque, non è l’indicazione dell’osservanza di parole, ma l’attenzione ad una presenza che indica un cammino che è dentro la storia, che porta i tratti dell’umanità del Signore, delle sue attenzioni.

Questo, a mio avviso, è il significato di una spiritualità autentica, che non conduce le persone fuori dalla storia, in un mondo altro ma, al contrario, dentro alla storia, estremamente inserite nelle dinamiche del vissuto quotidiano, per viverle con il nuovo stile proposto da Gesù.

 

sabato 6 aprile 2024

ASCENSIONE DEL SIGNORE/C – SOLENNITA’

 




Atti 1, 1-11; Sale 47; Ef 1,17-23; Lc 24,46-53

Paolo Cugini

 

La solennità dell'Ascensione del Signore, che celebriamo oggi, deve aiutarci a comprendere il senso della missione della Chiesa nel mondo e anche del nostro battesimo, dato che è in questo sacramento che riceviamo lo Spirito Santo. Infatti, è nell'Ascensione del Signore che i discepoli ricevono il mandato di annunciare il Vangelo a tutte le genti. Il compito della Chiesa, quindi, è quello di essere testimone di Cristo. Inoltre, l'Ascensione del Signore ci insegna che il Vangelo non è solo un annuncio terreno, che si conclude sulla terra. Il Vangelo non è un codice di comportamento morale, ma è l'indicazione di un cammino che ha come meta l'incontro con il Padre. Così come Gesù è passato, attraverso la sua passione e morte, da questo mondo al Padre (Gv 13) - questo è il senso della sua Pasqua: anche noi dobbiamo ascoltarlo per poter passare con Lui da questo mondo al Padre. Per questo siamo invitati ad annunciare al mondo il suo Vangelo, sua unica via di salvezza. E qui sorge il problema: come è possibile annunciare questo cammino di salvezza?

Fu a loro che Gesù si mostrò vivo dopo la sua passione (At 1, 3).

Il primo criterio per testimoniare Gesù nel mondo è conoscerlo, conoscere Lui. Gesù non è un'idea astratta, ma una persona concreta, Gesù non è una creazione letteraria, non è il frutto della fantasia umana. Gesù è Dio che si è fatto uomo ed è venuto ad abitare in mezzo a noi: è Dio che si è avvicinato a noi. Ecco perché è impossibile conoscere Gesù se non attraverso un'esperienza viva, autentica, profonda. Gesù non manda i discepoli ad annunciare un'idea, o qualcosa del genere, ma quell'esperienza specifica che hanno avuto con il Signore. Non è un caso che Gesù, dopo la sua morte e risurrezione, sia apparso solo ai suoi discepoli, a coloro, cioè, che hanno saputo riconoscerlo. Pertanto, alla radice della nostra testimonianza – poiché questo è il senso del nostro battesimo! – deve esserci la nostra esperienza con il Signore Gesù. Non possiamo annunciare Cristo se non lo conosciamo. Nella prima lettera, Giovanni riporta questa stessa riflessione: ciò che abbiamo udito, ciò che abbiamo toccato con le nostre mani, ve lo annunziamo (cfr 1 Gv 1,1-4). La vita cristiana non è fatta solo di parole, ma di autentica esperienza con Cristo. È la conoscenza di Lui che ci permette di conoscerlo e, quindi, di comunicarlo al mondo.

Riceverete potenza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi (At 1,8).

La conoscenza esperienziale e personale del Signore, però, non basta: occorre lo Spirito Santo. Solo lo Spirito di Dio può dare ai discepoli il coraggio di annunciare, di testimoniare il Signore risorto in un mondo che lo odia, che lo massacra, che odia Dio e, di conseguenza, odia tutti coloro che parlano del Figlio. Questo coraggio non è una forza psicologica, di origine umana, ma qualcosa che viene da Dio, dal suo Spirito.

C'è qualcosa di più. Per essere testimone ci vuole la forza che deriva dall'essere credibili. Ciò significa che, se vogliamo essere testimoni del Signore, il nostro incontro con Lui deve aver cambiato significativamente la nostra vita. Come possiamo, infatti, annunciare l'amore di Cristo ai nostri nemici se odiamo qualcuno? Come possiamo essere testimoni della comunione di Cristo se siamo strumenti di lotte e di difficoltà? Come possiamo essere testimoni della morte di Cristo che ha perdonato i nostri peccati, se non siamo capaci di perdonare? Come possiamo annunciare l'amore di Cristo ai poveri se passiamo il nostro tempo ad accumulare ricchezze, diventando così strumenti di ingiustizia? Testimoniare significa raccontare ciò che Gesù ha fatto non solo con le parole, ma anche e, soprattutto, con la nostra stessa vita.  La verità di ciò che annunciamo deve essere ben visibile nella nostra carne, nella nostra storia. Testimoniare non significa dire quello che ha fatto Gesù, ma quello che Gesù ha fatto per me, la salvezza che ha portato nella mia vita. Se siamo chiamati ad annunciare la Salvezza che Cristo ha operato nella storia attraverso la sua passione, morte e risurrezione, allora tutto questo deve essere scritto nella nostra vita, deve essere ben visibile nella nostra carne, nel nostro modo di essere, di vivere, di pensare . Ciò diventa possibile solo se l'incontro con il Signore ha veramente portato salvezza nella nostra esistenza. Solo allora le parole diventano credibili, raggiungendo un peso e una forza impressionanti, che penetrano nel cuore del mondo, sconvolgendolo, preoccupandolo, prendendolo sul serio. Per questo san Luca, poco dopo negli Atti degli Apostoli, nel capitolo quarto, narra come si era strutturata la comunità dei primi cristiani, a seguito della predicazione dei discepoli.

La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede erano di un solo cuore e di una sola anima. Nessuno ha detto che la sua proprietà era ciò che possedeva, ma tra loro tutto era in comune (At 4,32).

Per questo la predicazione dei discepoli attirava le folle: non era un problema di discorsi e di capacità retoriche, ma di testimonianza. Ciò che i discepoli annunciavano, cioè la salvezza mediante il Vangelo di Gesù (cfr 1Cor 15,1-3) era chiaramente visibile nelle loro comunità, fatte di persone che nel nome di Gesù vivevano in modo totalmente nuovo, non più animato dall'egoismo umano che provoca solo divisioni e rivalità, ma dall'amore di Gesù che suscita tra loro la carità e la condivisione.

Quali sono i segni che lo Spirito Santo produce nella nostra umanità che rendono credibile il nostro annuncio?

Innanzitutto, l'umiltà. Infatti, solo Dio dovrebbe essere glorificato attraverso la nostra azione. Solo lo Spirito può produrre in noi questo sentimento fondamentale della vita cristiana, così presente nella vita di Cristo.

In secondo luogo, la gioia. I cristiani sono gioiosi non per il loro conto in banca o altri beni materiali, ma perché vivono con Gesù. Questo intendeva Santa Teresa di Gesù quando scriveva: “Chi ha Dio non manca di nulla. Solo Dio è sufficiente”.

Chiediamo a Dio che in questa Eucaristia che stiamo celebrando, lo Spirito Santo possa produrre nella nostra vita quell'umiltà e quella gioia tanto necessarie per l'autentica testimonianza del suo Vangelo.