Atti
1, 1-11; Sale 47; Ef 1,17-23; Lc 24,46-53
Paolo
Cugini
La solennità
dell'Ascensione del Signore, che celebriamo oggi, deve aiutarci a comprendere
il senso della missione della Chiesa nel mondo e anche del nostro battesimo,
dato che è in questo sacramento che riceviamo lo Spirito Santo. Infatti, è
nell'Ascensione del Signore che i discepoli ricevono il mandato di annunciare
il Vangelo a tutte le genti. Il compito della Chiesa, quindi, è quello di
essere testimone di Cristo. Inoltre, l'Ascensione del Signore ci insegna che il
Vangelo non è solo un annuncio terreno, che si conclude sulla terra. Il Vangelo
non è un codice di comportamento morale, ma è l'indicazione di un cammino che
ha come meta l'incontro con il Padre. Così come Gesù è passato, attraverso la
sua passione e morte, da questo mondo al Padre (Gv 13) - questo è il senso
della sua Pasqua: anche noi dobbiamo ascoltarlo per poter passare con Lui da
questo mondo al Padre. Per questo siamo invitati ad annunciare al mondo il suo
Vangelo, sua unica via di salvezza. E qui sorge il problema: come è possibile
annunciare questo cammino di salvezza?
Fu a loro che Gesù si
mostrò vivo dopo la sua passione (At
1, 3).
Il primo criterio per
testimoniare Gesù nel mondo è conoscerlo, conoscere Lui. Gesù non è un'idea
astratta, ma una persona concreta, Gesù non è una creazione letteraria, non è
il frutto della fantasia umana. Gesù è Dio che si è fatto uomo ed è venuto ad abitare
in mezzo a noi: è Dio che si è avvicinato a noi. Ecco perché è impossibile
conoscere Gesù se non attraverso un'esperienza viva, autentica, profonda. Gesù
non manda i discepoli ad annunciare un'idea, o qualcosa del genere, ma
quell'esperienza specifica che hanno avuto con il Signore. Non è un caso che
Gesù, dopo la sua morte e risurrezione, sia apparso solo ai suoi discepoli, a coloro,
cioè, che hanno saputo riconoscerlo. Pertanto, alla radice della nostra
testimonianza – poiché questo è il senso del nostro battesimo! – deve esserci
la nostra esperienza con il Signore Gesù. Non possiamo annunciare Cristo se non
lo conosciamo. Nella prima lettera, Giovanni riporta questa stessa riflessione:
ciò che abbiamo udito, ciò che abbiamo toccato con le nostre mani, ve lo
annunziamo (cfr 1 Gv 1,1-4). La vita cristiana non è fatta solo di parole,
ma di autentica esperienza con Cristo. È la conoscenza di Lui che ci permette
di conoscerlo e, quindi, di comunicarlo al mondo.
Riceverete potenza dallo
Spirito Santo che scenderà su di voi
(At 1,8).
La conoscenza
esperienziale e personale del Signore, però, non basta: occorre lo Spirito
Santo. Solo lo Spirito di Dio può dare ai discepoli il coraggio di annunciare,
di testimoniare il Signore risorto in un mondo che lo odia, che lo massacra,
che odia Dio e, di conseguenza, odia tutti coloro che parlano del Figlio.
Questo coraggio non è una forza psicologica, di origine umana, ma qualcosa che
viene da Dio, dal suo Spirito.
C'è qualcosa di più. Per
essere testimone ci vuole la forza che deriva dall'essere credibili. Ciò
significa che, se vogliamo essere testimoni del Signore, il nostro incontro con
Lui deve aver cambiato significativamente la nostra vita. Come possiamo,
infatti, annunciare l'amore di Cristo ai nostri nemici se odiamo qualcuno? Come
possiamo essere testimoni della comunione di Cristo se siamo strumenti di lotte
e di difficoltà? Come possiamo essere testimoni della morte di Cristo che ha
perdonato i nostri peccati, se non siamo capaci di perdonare? Come possiamo
annunciare l'amore di Cristo ai poveri se passiamo il nostro tempo ad
accumulare ricchezze, diventando così strumenti di ingiustizia? Testimoniare
significa raccontare ciò che Gesù ha fatto non solo con le parole, ma anche e,
soprattutto, con la nostra stessa vita. La
verità di ciò che annunciamo deve essere ben visibile nella nostra carne, nella
nostra storia. Testimoniare non significa dire quello che ha fatto Gesù, ma
quello che Gesù ha fatto per me, la salvezza che ha portato nella mia vita. Se
siamo chiamati ad annunciare la Salvezza che Cristo ha operato nella storia
attraverso la sua passione, morte e risurrezione, allora tutto questo deve
essere scritto nella nostra vita, deve essere ben visibile nella nostra carne,
nel nostro modo di essere, di vivere, di pensare . Ciò diventa possibile solo
se l'incontro con il Signore ha veramente portato salvezza nella nostra
esistenza. Solo allora le parole diventano credibili, raggiungendo un peso e
una forza impressionanti, che penetrano nel cuore del mondo, sconvolgendolo,
preoccupandolo, prendendolo sul serio. Per questo san Luca, poco dopo negli
Atti degli Apostoli, nel capitolo quarto, narra come si era strutturata la
comunità dei primi cristiani, a seguito della predicazione dei discepoli.
La moltitudine di coloro
che erano venuti alla fede erano di un solo cuore e di una sola anima. Nessuno
ha detto che la sua proprietà era ciò che possedeva, ma tra loro tutto era in
comune (At
4,32).
Per questo la
predicazione dei discepoli attirava le folle: non era un problema di discorsi e
di capacità retoriche, ma di testimonianza. Ciò che i discepoli annunciavano,
cioè la salvezza mediante il Vangelo di Gesù (cfr 1Cor 15,1-3) era chiaramente
visibile nelle loro comunità, fatte di persone che nel nome di Gesù vivevano in
modo totalmente nuovo, non più animato dall'egoismo umano che provoca solo
divisioni e rivalità, ma dall'amore di Gesù che suscita tra loro la carità e la
condivisione.
Quali sono i segni che lo
Spirito Santo produce nella nostra umanità che rendono credibile il nostro
annuncio?
Innanzitutto, l'umiltà. Infatti,
solo Dio dovrebbe essere glorificato attraverso la nostra azione. Solo lo
Spirito può produrre in noi questo sentimento fondamentale della vita
cristiana, così presente nella vita di Cristo.
In secondo luogo, la
gioia. I cristiani sono gioiosi non per il loro conto in banca o altri beni
materiali, ma perché vivono con Gesù. Questo intendeva Santa Teresa di Gesù
quando scriveva: “Chi ha Dio non manca di nulla. Solo Dio è sufficiente”.
Chiediamo a Dio che in
questa Eucaristia che stiamo celebrando, lo Spirito Santo possa produrre nella
nostra vita quell'umiltà e quella gioia tanto necessarie per l'autentica
testimonianza del suo Vangelo.